Erano ormai passati quattro anni da quando le navi Vorkaliane attraccarono sulle rive del fiume Arev. Varie città erano sorte nel mentre e lo scambio economico e culturale tra esse stava fiorendo a ritmi sempre più celeri. Difatti, stavano nascendo le prime simpatie fra insediamenti. Di forti inimicizie, invece, fortunatamente non ve n’era ancora traccia alcuna.
Da qualche mese l’ultimo dei vigorosi arbusti dell’impervia foresta di cui era satura l’isola di Vayr non era più visibile, al suo posto era possibile ammirare a occhio nudo da ogni parte dell’isola gli edifici di Arvintar che s’innalzano sempre più, una distesa verdeggiante e incolta e un’imponente quantità di legno che i mercanti del regno caricavano sui loro carri e portavano fino agli estremi del continente. L’opera di bonifica e di diboscamento dell’isola necessaria per un sano sviluppo di Arvintar fu sì difficoltosa e prolissa, ma fu anche uno dei fattori che permise al Regno di divenire uno dei centri più sviluppati del continente grazie alle ingenti quantità di cippini provenienti dalla vendita all’ingrosso del legno Arvintariano.
La tratta più movimentata di Arvintar la vedeva collegata con La Serenissima, che con occhio arguto aveva colto l’occasione di guadagno ed era, infatti, uno dei maggiori acquirenti di legno Arvintariano.
Sempre più carri percorrevano quella tratta verso nord-ovest e altrettanti la ripercorrevano, stracolmi di beni vari (e caffè), verso sud-est.
Un giorno di quel Barion 255 un carro carico di legna e non troppi altri materiali si trovò dinnanzi la prima e nuovissima cinta di mura della colorata Salùran, pronto a vendere tutti i ceppi che portava con sé. A primo impatto sarebbe potuta sembrare la solita carovana piena di tronchi, ma in realtà questa volta qualcosa era diverso. Il carico di legno che i mercanti portavano con loro era l’ultimo, segnava, infatti, la fine della bonifica dell’isola di Arvintar. Assieme a ciò i due Arvintariani portavano con loro due appariscenti stendardi sui quali s’intravedeva, in un maestoso sfondo azzurro e d’orato, la rappresentazione di un imponente cane a tre teste.
Una volta consegnato il legno, secondo contratto, ai magazzini Salùriani il carretto si diresse al Palazzo dei Pari. Ciò che i due mercanti provenienti dall’altro estremo del continente consegnarono alle guardie presenti quella mattinata fu una lettera che portava con sé il sigillo reale dei Triarchi.
Alla spettabile attenzione del Gran Consiglio dei Pari,
Con la presente vi ringraziamo della vostra cordialità e dei Vostri contratti che tanto fanno fiorire economicamente il nostro regno.
Scriviamo questa missiva per ufficializzare formalmente il nostro riconoscimento della Vostra Serenissima, dei vostri confini (così come segnati nelle carte cittadine di Veiligewe) e della vostra cultura e speriamo ciò diventi vicendevole.
Crediamo, inoltre, che la creazione di ambasciate nei nostri rispettivi territori possa portare ad un miglioramento e sviluppo dei nostri rapporti politici, diplomatici e commerciali.
Sperando di non arrecare disturbo alcuno, alleghiamo a questo documento una pregiata bottiglia di liquore al cacao di Arvintar, altresì detto Lad.
In rappresentanza del Regno di Arvintar,
Il Triarca Farquhar Vitalea