· Nome: Farquhar Vitalea
· Data attuale: 251
· Data di Nascita: 227
· Razza: Ether
· Storia:
Sono ormai passati 111 da quando nel 140 i nostri antenati hanno dovuto abbandonare il continente di Exilias e la città di Vorkale, definita “La Fortezza” per via delle sua posizione sicura al centro della foresta a nord-ovest del continente, delle sue spesse mura e dell’imponente castello del Principe Pezzust, la cui forma dalle mappe rimembrava quella di una testuggine che veglia imperterrita sulla sicurezza della città e delle terre circostanti. Quei momenti fanno ormai parte della storia, storia che fu e che ora può solo essere letta dai libri dei nostri predecessori e sentita dalle storie tramandate a noi dai più anziani sulla nave. Infatti, nel 140, poco dopo la prematura e triste perdita del Principe Pezzust a causa di un raro malanno (non più così raro in quegli anni a causa delle carestie e dello stato di povertà cui tutti, anche i più nobili, dovettero far fronte), i tre personaggi più di spicco, più vicini al Principe, che più hanno sentito la sua perdita e che più hanno lavorato per il bene di Vorkale decisero che la situazione era delle più nere, come la morte che aspettava tutta la città se fossero rimasti in quelle terre sofferenti.
La soluzione alla quale il mio bis-bis-bis-bis-nonno, Console degli affari Interni di Vorkale, Frensaxus Vitalea giunse insieme al generale Wayngar Bragas e al grande fabbro Gregon Adrerikath fu quella di partire per un viaggio alla ricerca di nuove terre, proprio come anni prima fece la Veiligewe, e di sperare in un futuro migliore con i piedi non più posati sul terreno al quale tutti erano ormai profondamente legati.
I Tre Condottieri (come ormai son ricordati da chiunque porti il sangue di Vorkale) decisero di utilizzare tutte le risorse in possesso della città per costruire 3 navi, le ultime “arche di salvezza” se così si possono definire, e partire verso i mari del Nord alla ricerca del futuro e della vita in nuove terre. Per ottenere il legno necessario alla loro costruzione fu abbattuta la maggioranza dei fusti della rigogliosa foresta che circondava La Fortezza e da essi nacquero la Nigredo, l’Albedo e la Rubedo.
Ad ognuno dei Tre Condottieri venne affidata la gravosa missione della salvezza di un terzo dei cittadini e una delle tre navi. L’arduo compito di andare incontro a tutte le necessità del popolo e di non far mai perdere la speranza alle loro genti era ancora una volta ricaduto su di loro, ma di questo, come sempre, ne erano più che fieri e felici.
“A Frensaxus Vitalea, in particolare, venne affidata la Nigredo, la più grande delle tre navi, quella in cui viviamo”
Farquhar stava raccontando ai più giovani, come ogni anno deve fare un membro della famiglia Vitalea, l’epopea del loro grande viaggio. L’obiettivo di questo racconto è, come si può intuire, quello di dare speranza a delle persone che nella loro vita avranno probabilmente più sogni che pezzi di pane da addentare, o almeno così dicevano i più vecchi della nave, i quali si erano ormai rassegnati a morire in pace in mezzo all’oceano.
Il rampollo dei Vitalea stava assolvendo i suoi compiti di discendente dei Condottieri con austerità da qualche anno, in particolare da quando ascoltò veramente e attentamente la storia del suo avo da suo padre. La Nigredo era vivace come ogni giorno: l’odore pungente dell’acqua salata e del pesce portato dai pescatori attecchiva su ogni superfice e persona della nave e ormai nessuno ci faceva più caso, il rumore dei martelli di chi stava riparando la murata (o forse il cassero, chi può dirlo, da dove si trovava in quel momento Farquhar non si vedeva la parte posteriore della nave) rimbombava su ogni asse della Nigredo e il canto marinaresco intonato da chi gran parte degli uomini per passare il tempo mentre lavoravano riecheggiava insieme alle onde che s’infrangevano sullo scafo.
*“Pensate che il legno tagliato per far sorgere le Tre Sorelle [così ci si riferisce alla Nigredo, all’Albedo e alla Rubedo] era così tanto da aver denudato La Fortezza della sua foresta lussureggiante che fin dalla fondazione la circondava. Frensaxus Vitalea racconta infatti che la città era completamente visibile dal lago di…”
Non fece in tempo a finire la frase che ecco arrivargli in testa una buccia di arancia proveniente dal suo minuto pubblico.
Dopo una fragorosa risata comune, Farquhar sbraitò “Chi è il piccolo irrispettoso che vuole diventare cibo per squali?!”
Il discendente dei Vitalea non poteva sapere chi fosse l’artefice, ma in fondo già lo aveva intuito: Logan il figlio dei Gramigna, quel marmocchio era solito fare di queste bighellonate agli adulti sulla Nigredo.
“Logan! Ringrazia che questo libro ha un valore inestimabile altrimenti te lo avrei già sbattuto su quella testa che ti ritrovi!”
Il libro che teneva in mano portava sulla parte frontale un simbolo antico e maestoso: una verde e robusta testuggine circondata da un velo azzurro pulito come i cieli nelle giornate più soleggiate, il tutto decorato da argentei motivi e da maestose ali. Si trattava, infatti, dello stemma cittadino della Fortezza, posto sul libro “La fu Fortezza” .
Quando si tratta di non rispettare chi venne prima, non c’è nessuno capace di diventare più iracondo di Farquhar.
“Ma non sono stato io! Erano quelli seduti dietro!” disse il povero Logan.
“Silenzio! Scusati per ciò che hai fatto oppure…”
Non fece in tempo a terminare quella frase, poiché poco dopo uscirono dalle sue labbra delle parole che ogni persona in quei mari sogna di sentire da più di 100 anni. Farquhar, infatti, aveva portato lo sguardo per un istante verso il bompresso, tra un’isteria e l’altra, e ciò che vide fu la più felice delle notizie.
“TERRA!! TERRA!!!”
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